Visto che c'è un baretto, posto qui uno dei miei scritto un po' di tempo fa...
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L’uccello
L’uccello si posò sul davanzale della finestra, dove ogni giorno Carlo XXXX gli posava alcune briciole di pane.
Carlo era un uomo sulla cinquantina al quale la vita non aveva regalato grandi cose.
Aveva sempre vissuto, anzi, sarebbe meglio affermare che era sempre sopravvissuto, grazie a piccoli lavori, senza alcuna amicizia.
Le uniche persone con le quali parlasse di tanto in tanto, erano il barista e la signora Maria, l’anziana donna che gli aveva, anni prima, affittato una piccola stanza, nella mansarda della propria casa.
La sua era stata fino allora una vita all’insegna della solitudine e del fallimento.
Nella buona stagione, l’unica nota lieta era rappresentata dalle visite dell’uccello.
Non appena la primavera s'avvicinava, esso compariva sul davanzale della piccola finestra della sua stanza.
Era uno strano volatile.
Di colore nero, poteva a prima vista sembrare un merlo, ma le strane strisce verdastre che gli partivano dal becco per salire fino alla sommità del piccolo capo smentivano quest'ipotesi.
Non mangiava mai le briciole che Carlo gli posava sul davanzale.
Si limitava a stare lì, ad osservare l’uomo che l’osservava a sua volta.
A Carlo sembrava che l’uccello lo guardasse spesso in uno strano modo.
Aveva addirittura preso l’abitudine di parlargli, quasi fosse un essere umano.
Gli raccontava dei suoi piccoli dispiaceri quotidiani, della sua vita vuota, di come non fosse mai riuscito a concludere niente.
L’uccello se ne stava fermo, ruotando il capo e guardandolo.
Alle volte sembrava quasi che capisse ciò che gli diceva.
Allora si muoveva un poco, saltellava su e giù per il davanzale della finestrina e osservava nuovamente Carlo, assumendo un’ aria che poteva forse definirsi ironica.
-Non vedi come vivo io?- sembrava volesse dirgli.
-Vivo libero e spensierato, di primavera in primavera, senza nessuno dei tuoi miseri affanni.-
Allora, Carlo scoppiava a ridere, pensando che era veramente uno stupido ad attribuire addirittura sentimenti umani ad un uccello.
-Colpa della solitudine.- si diceva, prendendosi in giro con un po’ d'amarezza.
Una volta aveva cercato di far vedere quanto fosse bello quell’uccello anche alla signora Maria, ma quel giorno il bizzarro volatile non era venuto a posarsi sulla sua finestra.
Le giornate andavano avanti così, tra un lavoretto ed una capatina al bar, senza alcun cambiamento, ma l’uccello ogni giorno andava a fare la sua visita a Carlo.
Sopraggiunse infine l’autunno e le visite dell’uccello cominciarono a diradarsi, fino a cessare completamente quando la temperatura iniziò a scendere.
Carlo osservava quasi con rancore i primi fiocchi di neve.
Colpa loro se l’unico “amico” che aveva non poteva andarlo a trovare.
Verso Gennaio iniziò a stare male, la sua salute peggiorò a vista d’occhio e si recò da un medico.
-Mi dispiace, ma la sua malattia è incurabile. Le rimangono soltanto due mesi di vita.-
Le crudeli parole del medico gli risuonavano ancora nella testa quando uscì dall’ambulatorio.
Passò dal bar e s'ubriacò.
Arrivato a casa salì con fatica le scale, seguito dallo sguardo pieno di disappunto della signora Maria.
Si distese sul letto e s'addormentò pensando che forse era meglio così, in fondo chi avrebbe sentito la sua mancanza?
Poi, il suo pensiero andò all’amico pennuto.
Gli dispiaceva molto pensare che probabilmente non avrebbe potuto vederlo un’ultima volta.
-Devo resistere fino a Marzo.-
E cosi fece effettivamente.
Nonostante i dolori lancinanti gli rendessero la vita impossibile tenne duro, s'attaccò alla poca vita che gli restava come mai aveva fatto prima.
Arrivò infine Marzo e Carlo era disteso sul letto della sua stanza privo ormai anche della sola capacità di tenersi in piedi.
La signora Maria, che a suo modo gli era affezionata, gli portava tutti i giorni da mangiare e Carlo la pregava di mettere qualche piccola briciola sul davanzale della finestra.
Passarono i giorni e l’uomo cominciò a pensare che l’uccello forse non sarebbe venuto più.
-Sono proprio uno stupido.- pensava con amarezza.
Aveva ormai deciso di lasciarsi andare e verso la metà di Marzo sopraggiunse un nuovo peggioramento.
Carlo capì che sarebbe stato l’ultimo.
Ormai gli costava fatica anche tenere gli occhi aperti.
Continuava però a fissare la piccola finestra, con un rimasuglio di speranza.
La mattina dopo stava ancora dormendo quando fu svegliato da un gorgheggio.
Il suo cuore si riempì di gioia.
L’uccello era lì.
Lo guardava con quella sua aria un po’ canzonatoria e a Carlo sembrò di sentire nella sua testa i pensieri dell’uccello.
-Ti avevo ricordato che era stupido assillarsi con i tuoi miseri affanni.-
Carlo gli rivolse un ultimo sorriso e poi chiuse gli occhi felice.
Il funerale si svolse velocemente.
La signora Maria e pochi altri conoscenti seguirono il carro funebre che s'avviava verso il cimitero lungo il viale alberato, tra la gente che continuava ad andare in su e in giù’ per il viale, presa dai propri compiti, ignorando la piccola tragedia.
Nessuno fece caso al gorgheggio dei due uccelli neri.
Sembrava una risata, uno scherno per quelle persone tutte indaffarate ad assillarsi con i loro miseri affanni.
Daniele Lazzarini
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