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  • Sulla Temperatura della resistenza (Come rompere un atomizzatore in maniera consapevole)

    II Parte: Sulla Temperatura della resistenza (Come rompere un atomizzatore in maniera consapevole)

    A volte un atomizzatore si rompe in quanto l’avvolgimento che costituisce la resistenza scaldante raggiunge temperature eccessivamente elevate. Ovviamente rimane difficile definire esattamente la “temperatura di rottura” in quanto questa non raggiunge solitamente il valore di fusione del materiale (che sarebbe un valore noto). Il materiale modifica le sue proprietà meccaniche (resistenza) al variare della temperatura e generalmente, all’aumentare di questa, diventa più “debole”. Per cui una qualunque sollecitazione meccanica (urto) o le stesse “tensioni” interne dovute ad esempio alla curvatura dell’avvolgimento resistivo o ai cicli di riscaldamento/raffreddamento a cui è sottoposta, possono causare la rottura ad una temperatura più o meno variabile, ma comunque abbastanza elevata.

    Ad esempio, riprendendo una utilissima tabella di [MENTION=3226]joyoso[/MENTION] nel 3d sull'atomizzatore Bulli A2, si vede che il NiCr può essere utilizzato fino a 1200°C, valore prossimo alla sua temperatura di fusione (1350 – 1400 °C).
    Questo non esclude che si possa rompere anche a 500 °C dopo che ha “vissuto” molti e “faticosi” cicli di risc/raffr.

    Sarebbe interessante poter calcolare la temperatura che può raggiungere la resistenza in diverse condizioni. Questo è molto difficile, perché le variabili in gioco sono molte e complesse, ma la teoria di base è abbastanza semplice.

    Cominciamo col dire che una resistenza elettrica percorsa da corrente è un sistema “a potenza imposta”. Ciò significa che, qualunque siano le condizioni di scambio termico, la potenza prodotta deve essere smaltita come calore verso l’ambiente che circonda la resistenza (aria, liquido o le vostre dita se la tenete in mano….). Poiché è noto a tutti che il calore si trasferisce quando c’è una differenza di temperatura, spero possiate accettare una formula di questo genere, senza che vi annoi con la dimostrazione:

    P [W] = h A (Ts – Tf)

    A e la superficie di scambio termico (nel nostro caso la superficie esterna della resistenza, a contatto con il fluido)
    Ts è la temperatura superficiale della resistenza
    Tf è la temperatura del fluido
    h è un coefficiente di proporzionalità chiamato coefficiente di scambio termico e che dipende da numerose variabili (geometria, densità e viscosità del fluido, movimento o meno del fluido, presenza o meno di cambiamento di fase, temperatura media fra fluido e superficie, etc.).

    Dalla formula appare chiaro che nota la potenza da smaltire (ormai tutti sanno che è pari a V^2/R), con una certo avvolgimento della resistenza (di superficie A nota), fissate le condizioni di scambio termico (tipo di fluido, geometria, etc), e ipotizzata nota la temperatura del fluido che riceverà il calore (l’aria, il liquido che sta evaporando/bollendo) si può valutare la temperatura della superficie “rigirando” la formula:

    Ts = Tf + P/(h A)

    Ovviamente è necessario stimare il valore di h (con una certa difficoltà) ma faremo delle considerazioni con valori di h “tipici”.

    Facciamo un esempio:

    la mia eGo ha una batteria che “spero” fornisca ai capi della resistenza una tensione di 3,7 V e trovo soddisfazione nell’usare un atom da 1,9 ohm. Ormai quasi tutti sapete che la potenza generata nella resistenza è pari a 7,2 W. Bene, questa potenza deve essere “smaltita” dalla resistenza che la cederà come calore a tutto ciò che trova intorno.

    Trascuriamo il calore necessario a scaldare il filo (è piccolissimo e non incide molto nelle nostre considerazioni) e ipotizziamo che quello che viene disperso in altro modo sulle altre strutture prossime alla resistenza (per conduzione e irraggiamento) sia il 30% della potenza prodotta. Ci rimangono 5,3 W “utili” verso il fluido.

    Calcoliamo la superficie esterna dell’avvolgimento resistivo. Assumiamo per semplicità che il diametro sia 0,2 mm e la lunghezza sia 5,7 cm (ho usato i dati di joyoso). Se vi ricordate come si calcola la superficie laterale di un cilindro otterrete 0,0000358 m^2 di superficie (altrimenti, fidatevi….)

    Appena montata la mia eGo, mi dimentico di drippare il fluido e l’accendo con atom asciutto. Lo scambio di energia avverrà quindi con l’aria. In questo caso il coefficiente h è dell’ordine di 5 – 10 [W/m^2K] (assumiamo 8, ancora sulla fiducia…..). Ipotizziamo l’aria a temperatura ambiente (20 °C). Otterremo:

    Ts = Tf + P/(h A) = 20 + 5,3/(8*0,0000358) = 18500 °C !!!!! (tenete conto che la superficie del sole ha un temperatura apparente di “soli” 5600 °C!!!!)

    Ovviamente non avete creato una “stella supernova” e la resistenza non raggiungerà quel valore ma si romperà “istantaneamente” non appena un punto qualunque raggiunge la temperatura di fusione del materiale, interrompendo la corrente elettrica.

    La prima conclusione per i “novizi” o anche gli "esperti" che hanno spesso la testa da un’altra parte (e mi sa che siamo parecchi…) che scartano la loro nuova ecig e non vedono l’ora di accenderla è: benedetto primer! Farà schifo, ma se c’è mi aiuta (certo non garantisce) a non rompere l’atom prima che io mi accorga di aver fatto una caxxata.

    Infatti la presenza di un liquido che bagna la resistenza determina un aumento notevole del coefficiente h. Se questo, invece di essere pari a 8 fosse stato pari a 500-1000 (valore tipico per un liquido in riscaldamento ma che non sta cambiando di fase) alla prima accensione (col fluido a 20 °C) avremmo ottenuto una temperatura di 316°C (nel primo caso) e di 168 °C nel secondo, valori “accettabili”.

    Ora “drippiamo” bene l’atom con nostro e-liquido preferito alla crema di carciofi o a quello che vi pare (burro per [MENTION=125]bonzuccio[/MENTION]).

    Man mano che il fluido si scalda, ovviamente, passa da 20° ed arriva ad esempio a 200°C: la temperatura superficiale segue l’andamento della temperatura del fluido ed aumenta anch’essa di 180°C, raggiungendo valori di 500 °C o 350 °C circa nei due estremi considerati.

    Immaginiamo ora che la nostra miscela, per la sua composizione, abbia il punto di ebollizione proprio a 200 °C e quindi inizia a “bollire” producendo i desiderati nuvoloni. Pensate che, poiché durante il cambiamento di fase non varia più la temperatura del fluido (tranne la variazione dovuta alla composizione della miscela che cambia, ma trascuriamo) non vari più la temperatura della superficie della resistenza?

    Vi sbagliate.

    Quando inizia il cambiamento di fase il valore di h aumenta drasticamente di 5 – 10 volte. Assumiamo un valore conservativo di 5000, e la temperatura della superficie scende a:

    Ts = Tf + P/(h A) = 200 + 5,3/(5000*0,0000358) = 230 °C

    Solo 30°C in più della temperatura del fluido, rispetto ai 150-300°C in più che si avevano prima che il fluido iniziasse a “bollire” (ma un po’ “evaporava”, come abbiamo detto nelle puntate precedenti).

    Quindi “conviene” che il fluido “bolla” (oltre ai nuvoloni…), perché la resistenza si mantiene più “fredda”, rispetto al caso che evapori solamente.

    C’è un solo rischio, anche durante l’innesco dell’ebollizione, noto come “crisi termica” (non di nervi, quella viene dopo….).

    Se il liquido arrivasse dall’alto improvvisamente sulla superficie molto calda (ad una tipica temperatura che per l’acqua è intorno ai 250°, per VG e PG non provate neanche a chiedermelo perché non lo so!), si formerebbe improvvisamente un cuscinetto di vapore intorno alla resistenza che non riuscendo ad “uscire” immediatamente impedisce al liquido di ribagnare la superficie e proseguire nell’ebollizione. Questo cuscinetto di vapore si comporterebbe come l’aria (un po’ meglio, in verità) e il valore di h ritorna a valori di 20 – 40 [W/m^2K]. Attivando la batteria, la temperatura della superficie raggiungerebbe valori di:

    Ts = Tf + P/(h A) = 250 + 5,3/(30*0,0000358) = 4900 °C !!! (‘o sole mio!) e vi fottete l’atom di nuovo.

    Questo fenomeno, detto anche “calefazione” potete provarlo a casa.

    Prendete la migliore padella teflonata di vostra madre/moglie/nonna (quella che non “attacca” e se gliela rigate vostra madre vi sgrida per 3 ore di seguito, vostra moglie non ve la dà per un mese e ve lo rinfaccia fino al compimento delle nozze di platino, vostra nonna vi dà una padellata in testa) e mettetela sul fuoco. Dovreste cercare di portare la superficie al di sopra dei famosi 240-250 °C che vi ho detto (un termometro a contatto aiuterebbe) e con una pipetta fate cadere qualche goccia (distante l’una dall’altra) sopra. Vedrete le goccioline “ballare” sulla superficie ma non evaporare immediatamente come vi sareste aspettati. Si forma infatti per un po’ quel piccolo cuscinetto di vapore fra la superficie ed il liquido che le fa diventare dei piccoli hovercraft!

    Se avete una madre/moglie/nonna comprensiva potreste fare esperimenti col VG e col PG e farmi sapere!
    Questo articolo era stato originariamente pubblicato nella discussione del forum: Temperatura evaporazione iniziato da Armada Visualizza Messaggio Originale
    Commenti 4 Commenti
    1. L'avatar di sette7nani
      sette7nani -
      smanetton smanettoni non lo avevo mai letto. grazie per averlo uppato. rep +
    1. L'avatar di Alex_K
      Alex_K -
      Bello e molto interessante. In questi giorni stavo ragionando sulla temperatura della resistenza e questo post cade proprio a fagiolo.
      Ho però un piccolo dubbio: l'esperienza mi dice che la temperatura della resistenza non è omogenea lungo tutto il filamento, perché diventa rossa solo al centro, giusto?
      Se è così, ci sono sistemi che permettono un riscaldamento più omogeneo, ottimizzando così la superficie di contatto con il liquido (magari riscldando la resistenza per induzione)?
      Grazie mille!
    1. L'avatar di giangi
      giangi -
      Dove diventa rossa dipende dall'uniformità di ribagnamento della stessa. In un rigenerabile a mesh, ad esempio diventa rossa prima nei brevi tratti di collegamento con i poli, in cui non è a contatto con la mesh. In una resistenza avvolta sulla wick che pesca in un tank diventa rossa prima al centro perché è la zona che si asciuga prima e più "lontana" dall'alimentazione per capillarità che avviene dalle estremità della wick. In altre situazioni l'hot spot dipende da come è avvolta la resistenza.
      Il riscaldamento ad induzione sarebbe un'ottima soluzione e si potrebbero anche evitare le serpentine delle resistenze (vedi piani cottura ad induzione). A suo tempo se ne era già discusso e non è detto che non si riprenda il discorso.
    1. L'avatar di enad
      enad -
      tesla...
      ?
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